I giapponesi mangiano sardo
Dal Sol Levante per il Tonno Rosso, preferito se conservato alle temperature ultra basse (Ultra Low Temperature, ULT).
Nella splendida regione del Sulcis-Iglesiente, nella Sardegna
sud-occidentale, nota per la ricchezza del sottosuolo che ne ha fatto
per secoli l’area più importante del Mediterraneo, si trova, in un
contesto naturalistico mozzafiato, Carloforte, un comune onorario della
provincia di Genova, titolo acquisito nel 2004 in virtù dei legami
storici, economici e culturali con il capoluogo ligure.
Oltre all’elevato pregio architettonico del centro, testimoniato dai
numerosi palazzi e dalle bellissime facciate che conferiscono prestigio
al nucleo urbano, la vera chiave di successo del paese, come di tutta
l’isola, è, senza ombra di dubbio, l’incantevole mare dai mille colori
da sempre meta di numerosi turisti.
Nel mare di Carloforte viene
pescato il tonno, e la prestigiosa tonnara locale cattura i tonni da
maggio a giugno, periodo in cui costeggiano la Sardegna per andare a
deporre le uova. Da questi tonni rossi blufin, i più pregiati al mondo,
ha origine la nostra storia fredda!
Iniziamo con qualche pillola di
storia. La pesca del tonno è un’attività praticata già nella preistoria,
come dimostrano i graffiti scoperti nella grotta del Genovese a
Levanzo, una delle isole Egadi. E nell’antichità classica sono
numerosissime le attestazioni delle qualità nutrizionali e perfino
terapeutiche del tonno: da Omero in giù ne scrivono, generalmente in
toni positivi se non entusiastici, autori come Polibio, Strabone,
Plinio, Plutarco, Galeno, Aristotele nonché scrittori/gastronomi quali
Marziale, Apicio e Archestrato di Gela che, nel IV secolo a. C.,
trattava dell’uso del tonno nella cucina dell’epoca.
La pesca del tonno fu descritta per la prima volta da Aristofane, da
Oppiano e dal siracusano Teocrito. Aristofane (V secolo a.C.) racconta
che una vedetta si appostava sul rilievo costiero più alto per segnalare
l’arrivo dei tonni, i quali venivano spinti dalle correnti marine
all’interno di un intrigo di reti. Dagli scritti di Strabone (I secolo
a.C.) veniamo a conoscenza del fatto che i Fenici, abili pescatori, si
spinsero oltre le colonne d’Ercole alla ricerca dei branchi di tonni,
che erano poi lavorati a Cadice, luogo in cui sono state trovate monete
raffiguranti questo pesce.
Insomma, si tratta di una delle
principali ricchezze del Mediterraneo. E quando parliamo di tonno ci
riferiamo al “tonno rosso”, per molti secoli fonte di cibo e di lavoro, e
quindi di reddito, per i pescatori, i costruttori di barche e di reti e
per tutti quelli che lavoravano la carne del tonno lungo tutto il
bacino di quello che i romani chiamavano “mare nostrum”, da Gibilterra
all’Ellade.
La pesca del tonno a Carloforte si realizza con le reti
della tonnara, oggi l’unica ancora attiva nel Mediterraneo, e, sin
dall’Ottocento, pesca e lavora secondo metodi artigianali i cosiddetti
“tonni di corsa”, dalle carne rossa e grassa secondo una pratica
utilizzata in Sardegna già da Fenici, Romani e perfezionata nel
Quattrocento dagli Spagnoli. I pesci arrivano in grandi banchi
dall’Atlantico per depositare le uova in un ambiente più caldo
(temperatura superficiale tra i 22-23 gradi). Il muoversi in gruppo
rende dunque le loro rotte facilmente prevedibili. I tonni, che si
trovano in alto mare, vengono perciò costretti a entrare nella prima
“grande camera”.
Questi poderosi predatori pelagici si
caratterizzano per il colore blu-nerastro sulle parti superiori (ecco
sono noti anche con il nome Bluefin Tuna), grigiastro con macchie
argentee sulle laterali, biancastro sulla regione inferiore. Le loro
carni, dalle elevate caratteristiche nutritive, sono invece rosse per
via del sistema dei vasi sanguigni particolarmente sviluppati nella
pelle e nei muscoli laterali del tronco.
Il tonno rosso è
particolarmente apprezzato dagli chef di tutto il mondo e in particolare
in Giappone, ogni anno, si consumano all’incirca tre quarti di tutto il
pescato mondiale di questa specie, purtroppo in via di estinzione. Non a
caso il Parlamento Europeo ha approvato un regolamento a protezione di
questa particolare specie di tonno assegnando ad ogni paese membro una
quota di cattura per evitare un eccessivo prelievo di esemplari e per
scongiurare così il pericolo di estinzione della specie.
Dal momento della cattura fino al suo utilizzo alimentare, il pesce
fresco deve essere necessariamente refrigerato. La conservazione del
pescato nel ghiaccio a 0°C (temperatura costante) non altera la sua
composizione per circa 4 - 7 giorni.
Dopo 7 - 10 giorni, o prima se
la temperatura è superiore a 0°C, subisce importanti oscillazioni come
avviene quando è esposto nelle bancarelle dei mercatini, cominciano le
prime importanti alterazioni. Con il passare del tempo ci si porta alla
formazione di monoetilamina e formaldeide (responsabili del tipico odore
di pesce avariato). Si ha inoltre formazione di acido sulfidrico (che
concorre a conferire al pesce un aroma nauseabondo) e di amine biogene.
Oltre alle trasformazioni chimiche, il pesce può essere interessato
anche da contaminazioni di origine biologica.
Mangiare pesce crudo
(ma anche altri alimenti come carni, latte crudo e derivati) comporta
sicuramente una maggiore probabilita' di imbattersi in intossicazioni od
infezioni causate da batteri patogeni o parassiti, come la Salmonella,
la Listeria e l'Escherichia coli; ma se ci si incappa con l'anisakis, le
conseguenze diventano piu' serie, tanto da provocare in alcuni casi, se
non si interviene tempestivamente, anche la morte.
E' necessario
che, in particolare, tra i sostenitori del sushi e del sashimi ci sia
una corretta informazione sugli eventuali rischi a cui possono incorrere
nel consumare tali specialita': sia chiaro, nessun pregiudizio riguardo
a questi ristoranti etnici, ma e' di fondamentale importanza sincerarsi
che siano gestiti da personale serio e con provata esperienza nella
specifica trattazione e somministrazione di questo tipo di alimenti.
L'anisakis e' un piccolo verme che puo' misurare da uno a tre
centimetri, dal colore bianco o rosato, sottile e che tende a
presentarsi spesso arrotolato su se stesso; e' un parassita normalmente
presente nello stato adulto all'interno dell'intestino di numerosi
mammiferi marini come i delfini e le foche; attraverso le feci vengono
eliminate le uova, che si schiudono nel mare dando origine alle larve;
quest'ultime vengono ingerite da piccoli crostacei, e i pesci che se ne
cibano ne vengono infestati; con il consumo di pesce crudo o poco cotto o
in salamoia, il parassita viene trasmesso all'uomo. Le larve si possono
cosi' impiantare sulla parete dell'apparato gastrointestinale, dallo
stomaco fino al colon, e per difendersi dai succhi gastrici attaccano le
mucose con un'incredibile capacita' perforante.
Il tonno è tra i
prodotti ittici piu' a rischio, e, per risolvere il problema, la
lavorazione inizia con l'immediata eviscerazione del pesce poco dopo la
cattura, al fine di evitare la migrazione dei vermetti dalle loro
viscere alle loro carni; si e' pero' scoperto che il parassita, pur
essendo molto resistente agli acidi (come l'aceto, il limone e l'acido
cloridico dello stomaco), muore se sottoposto ad alte temperature (dopo
15 minuti a 60°C), oppure con un rapido congelamento (anche soltanto a
-20°C entro le 24 ore).
Come forma di prevenzione, il Ministero
della Sanita' gia' dal 1992 obbliga per legge a chi somministra pesce
crudo o in salamoia ad utilizzare esclusivamente pesce congelato o a
sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare
crudo.
Da un'indagine dei Nas (Nucleo Anti Sofisticazione) emergono
dei dati terrificanti: molti ristoranti che preparano cucina giapponese
(vero fenomeno di tendenza, dove il sushi ed il sashimi, piatti
d'effetto preparati con pesce crudo, rappresentano le loro prelibatezze
piu' tipiche) sono in realta' gestiti da cinesi, che si improvvisano
cuochi senza alcuna esperienza nella preparazione di pietanze a base di
ingredienti crudi e spesso senza osservare pienamente le norme
igienico-sanitarie.
In Giappone, gli esperti di sushi possono
offrire queste raffinatezze gastronomiche solo se dotati di uno
specifico patentino, e approvvigionano soltanto tonno “super freezed”,
conservato ad almeno -40°C!
Durante la nostra recente visita in
Sardegna, nell’ottica dell’apertura della delegazione locale, ci siamo
imbattuti in un interessante aneddoto che, in realtà, sta portando ad un
importante ed interessante investimento nella tecnologia del freddo che
deriva da una scelta, dimostrata, della conservazione del tonno a
temperature ultra basse per mantenere l’elevata qualità del pesce per la
specialità giapponese del sushi.
A seguito di una interessantissima
indagine di IntraFish, l’autorevole ed importante rivista mondiale
sulla pesca, apprendiamo che la conservazione ed il trasporto a
temperature ultra basse è un marchio di qualità per il lucrativo mercato
giapponese del pesce fresco. Il tonno ULT sta diventando una richiesta
anche nei mercati USA ed europeo, per la sempre più popolare “cucina
giapponese”.
In uno studio dell’istituto norvegese di ricerca
Sintef, diverse specie di pesce sono stati trattati con temperature che
vanno dai -25°C a -60°C, facendoli passare attraverso un tunnel di
abbattimento e poi conservati e spediti in Giappone. A seguito di questo
processo sono state fatte le analisi sensoriali, sia nel porto di
partenza, in Norvegia che in Giappone. Dopo oltre cinque mesi di
stoccaggio, i pesci conservati a ULT erano di qualità significativamente
migliore di quelli conservati a -25°C. A quelle temperature
estremamente basse, si otteneva un colore decisamente più vivido,
cellule grasse meno ossidate e un aspetto superficiale di elevata
qualità.
Il pesce ULT è quello preferito dai principali importatori
giapponesi, che riconoscono la qualità con un sovrapprezzo decisamente
incentivante per un pesce di qualità come il tonno sardo.
La pratica
della conservazione ULT o “super freeze” è nata per il tonno proprio in
Giappone. Già negli anni ’60 e ’70 la ULT aveva preso piede e si è
affermato uno standard che va dai -50°C ai -70°C. Durante gli anni ’80
sono comparsi i primi studi che davan ragione della ULT con il
riconoscimento dell’alta qualità del pescato poi scongelato, e nei primi
anni ’90, la Maersk, la più grande azienda mondiale per il trasporto
container, iniziò a sviluppare contenitori con abbattittori e
conservazione a -60°C per servire il mercato ULT.
Anche in Europa,
nel 1995, due ricercatori scandinavi, Magnussen e Johansen,
investigarono gli effetti sulla conservazione per temperature tra i
-25°C e i -60°C, dimostrando differenze poco apprezzabili per
temperature al di sotto dei -45°C.
Un associato dell’isola, si è
imbattuto nella richiesta di un’azienda che si occupa proprio di questo.
Contattato da importatori giapponesi interessati al tonno sardo, sta
ora predisponendo un impianto di trattamento e conservazione che
soddisfi gli stringenti canoni per il sushi.
Il tonno rosso viene
pescato in un mare che, tipicamente, ha una temperatura intorno ai
14°C/18°C, portato in rada, viene avviato all’impianto di lavorazione,
dove, per evitare problemi ai lavoratori, si è scelto, progettualmente,
di realizzare una temperatura ambiente superiore ai 14°C. Si evita così
l’utilizzo degli ingombranti e poco pratici giubboni termici.
Il
primo passaggio è costituito dalle operazioni di pesa, tra 16 e 20°C,
dove il pesce viene verrà pesato, etichettato con n° del lotto, data e
luogo di pesca oltre alla corretta denominazione della specie.
Viene
poi portato in sala sfilettamento a 15°C costanti, qui verranno
eliminate pinne e testa, porzionato in misura di circa 20 cm x 30 max
ogni porzione riporterà quanto già inserito nella etichettatura
iniziale, inseriti su carrello e posti in armadio abbattitore
Il
pesce sfilettato e fatto a pezzi, viene avviato in un tunnel di
abbattimento che, in 4 ore porta la temperatura (al cuore del prodotto) a
-50°C. Nella fase successiva, prima dello stoccaggio, viene formata una
glassa con acqua pre-raffreddata con una serpentina in cella, ad
immersione, e successivamente introdotto in stoccaggio alla stessa
temperatura: -50°C!
La glassatura dei prodotti ittici è uno strato di ghiaccio protettivo
applicato alla superficie, in modo da ottenere una protezione naturale
con acqua aspersa o nebulizzata o immersione.
Grazie al “ghiaccio”,
il tonno risulta isolato e al riparo dell’azione ossidante dell’ossigeno
atmosferico che, invece di agire sul prodotto, lavora sul ghiaccio di
copertura.
La conservazione a temperatura negativa (obbligatorie per
legge) o anche Ultra Negativa senza adeguata glassatura, durante i
prolungati periodi di conservazione, produrrebbe inesorabilmente
fenomeni di disidratazione, di ossidazione e di irrancidimento. La
glassatura si comporta, invece, come un involucro perfettamente aderente
che protegge ottimamente dalla disidratazione e dall’ossidazione.
In una cella separata a – 2°C verranno conservati i pezzi di minor
qualità per il consumo immediato e, in un’altra dalle medesime
caratteristiche, gli scarti da inviare a macero.
Ecco, queste son le
condizioni alle quali i giapponesi ritengono il prodotto “sushi hi
grade quality”, e capace delle interessanti prestazioni economiche del
Sol Levante.
L’impianto di cui abbiamo preso visione, viste le
caratteristiche e la necessità di limitare l’investimento (in tempo di
crisi), lo si è voluto realizzare con un compressore mono stadio, e,
dopo una valutazione dei refrigeranti e dei compressori disponibili, la
scelta è ricaduta sull’R32, difluorometano (CH2F2).
L'R32 è un
refrigerante mono componente, un gas con un potenziale di riduzione
dell'ozono pari a zero e un potenziale di riscaldamento (GWP) globale di
550, notevolmente inferiore a quello dell'R410A che è pari a 1980.
Viene classificato A2L o leggermente infiammabile (classificazioni
ASHRAE).
Questo refrigerante viene tipicamente utilizzato per basse e
bassissime temperature di raffreddamento nella Refrigerazione
Industriale e Commerciale.
Dovendo realizzare un circuito mono
stadio, il punto di ebollizione del refrigerante in questione (-51,7°C)
ha sicuramente contribuito alla scelta. Invece di un ben più costoso
impianto booster, con l’R32 si consente il raggiungimento delle
prestazioni in temperatura senza un investimento particolarmente
oneroso.
Quindi, concludendo, se non siete in Giappone, dove, come
abbiamo visto, il “sushi hiQ” è garantito, come evitare il rischio di
contaminazioni o scarsa qualità nel mangiare il tonno in versione sushi e
sashimi di qualità?
Seguiamo questi consigli.
Sinceriamoci
sempre prima che il ristorante sia serio e rigorosamente qualificato, e
poi chiediamo al gestore del ristorante se il pesce e' stato abbattuto
(almeno a -18° per 24 ore oppure nell'azoto liquido); … spesso, per ovvi
motivi, la risposta che ci viene data e' che si tratta assolutamente di
pesce fresco… perche', in effetti, e' la risposta che un cliente
vorrebbe sempre sentirsi dare. Ma se il gestore e' serio ed ha
competenza in materia, ci deve dire la verita', altrimenti, e' meglio
non correre il rischio!
Last but not least, se l’impianto è stato
realizzato da un socio o da un collega di Assofrigoristi, qualche
ulteriore garanzia è data.